In tempi di Covid il lavoro degli addetti ai cast dei teatri europei deve essere particolarmente duro. In home office, hanno difficoltà a ricordare i nomi e i ruoli e spesso si confondono. E i risultati si vedono.
Li ho visti (anzi sentiti) io, ascoltando, sconsolato, la Turandot in scena in questi giorni alla Bastiglia di Parigi.
Mi trovavo in Francia per ascoltare, al Theatre des Champs Elysee, il Wohltemperierte Klavier di Bach, suonato da Andras Schiff, ed ho voluto approfittare dell’occasione per ritornare, dopo un po’ di tempo, all’Opera.
La Turandot in programma, sulla carta, non presentava particolari attrattive: Gustavo Dudamel, neo Direttore musicale della casa, sul podio, non mi lasciava presagire nulla di buono; della regia, al solito, non dico nulla; ma il cast – fatto di sconosciuti nei ruoli principali – poteva (la speme, ultima dea!) , magari, farmi scoprire qualcosa di buono.
Le aspettative, basse, si sono invece tradotte in un risultato osceno, sconsolante e disarmeante.
Diciamo subito le poche cose positive: Carlo Bosi, perfetto Altoum, le tre maschere, il potente mandarino.
Poi, il tracollo. Con il tenore, il responsabile del cast ha avuto il primo problema: Gwyn Hughes Jones doveva essere scritturato come seconda cover di Pong, non certo come Calaf: voce non presente e sempre ingolata, vibratino costante, nessuna idea interpretativa. Zero.
Elena Pankratova, Turandot, va un po’ meno peggio : anche qui, il responsabile del casting ha scambiato Liù con la protagonista: la vocina c’è, questa volta, ma è quella di una libellula tremante, in affanno costante, non quella di una principessa feroce. Uno.
Di Liù, Guankun Yu, diciamo che, nel saggio finale della seconda classe di canto, avrebbe preso un discreto voto e del discreto Timur di Vitalij Kowaljow non diciamo nulla.
Rimane Dudamel. E’ venezuelano e quindi bisogna dire che è passionale e caliente (così, almeno, dicono i media francesi): a me la sua è sembrata una direzione piattissima e tirata via, tipica di chi – sotto sotto – disprezza, non conoscendola l’opera italiana. Nessun colore, il coro sempre, fastidiosamente, in ritardo, l’orchestra disordinata, approssimativa e spesso stonata (i tre accordi di tromba prima di “Straniero, ascolta”).
Desolante serata. Per fortuna, la sera prima, aux Champs Elysee…