Nel dicembre del 1994, laureato da pochi giorni a Pisa, trascorsi qualche settimana a Parma, dove si dava Falstaff in una sontuosa edizione: Bruson, Gallo, Sabbatini, Dessì, direttore Kuhn. Assistetti a tutte le recite, alternando platea e loggione, e ne serbo un ricordo agrodolce.
Eccezionale l’opera: Bruson perfetto, Gallo stupendo, la coppia Sabbatini-Dessì eccelsa (con Sabbatini che, alla televisione locale, polemizzava con i loggionisti che lo avevano fischiato qualche anno prima e che lodava la Alice della Dessì, effettivamente strepitosa).
Deludenti – e purtroppo profetiche – le code serali per aggiudicarsi i biglietti del loggione: ricordo le liste semivuote e le desolanti conversazioni con quello che restava di uno dei loggioni più famosi d’Italia, ormai ridottosi al lumicino sia per la quantità sia per la qualità delle persone coinvolte.
“Non sanno riconoscere un do sulla tastiera” diceva Sabbatini nell’intervista citata, parlando proprio del loggione. Ma si sbagliava. Il punto non è, per un melomane, conoscere o no la musica: il punto è avere buon gusto, memoria, esperienza, passione, in una parola, cultura musicale.
Tutte qualità che vedevo mancare – allarmandomene – già nel 1994: non oso immaginare – ma lo conosco, lo conosco… – il livello a cui si è arrivati oggi.