Il ricordo di quell’Otello è fermo nella mia memoria: era il gennaio 1990 e al Filarmonico di Verona si dava il capolavoro verdiano con un cast che – oggi – definiremmo stellare (allora era ordinaria amministrazione): Giacomini al debutto nel ruolo, Chiara, Cappuccilli. Io ero presente alla prima. Era il mio primo Otello a teatro e mi ero preparato scrupolosamente all’evento: in particolare, avevo imparato a memoria l’opera nell’interpretazione insuperabile di Mario del Monaco (quella con Karajan, la Tebaldi e Protti). E l’Esultate di Del Monaco era da mesi la colonna sonora delle mie giornate.
Ricordo l’attacco dell’orchestra, la grande scena della tempesta e la trepidante attesa di quel momento, l’ingresso di Giacomini e poi….lo shock e l’impressione immediata di avere sbagliato in qualche modo opera. Quello non era l’Esultate di Verdi, di Del Monaco, il mio Esultate, era qualcos’altro. Che cosa aveva combinato Giacomini? O mi era sfuggito qualcosa?
Queste riflessioni durarono la frazione di un secondo: l’opera era quella giusta e Giacomini non aveva sbagliato niente. Semplicemente, io avevo capito per la prima volta (quante volte, ahimè, lo avrei ripetuto nei decenni successivi!) la differenza tra un’ottima esecuzione e un’esecuzione inarrivabile, da manuale, perfetta.
Ma ai miei occhi (ed orecchi) inesperti, quella sera si era compiuto un abuso imperdonabile e rimasi frastornato tutta la sera.