Quando mi chiedo come illustrerei – ad un extraterrestre -il punto più alto raggiunto dalla nostra civiltà, mi rispondo sempre pensando alle “Nozze di Figaro”.
Qui la fusione tra il testo di Da Ponte – pungente, ironico, profondo e leggero allo stesso tempo – e la musica di Mozart crea un capolavoro irraggiungibile. Il testo di Da Ponte annulla – in piena sintonia con la musica mozartiana – ogni tema sociale, di rivendicazione, di differenze, di ruolo. Sappiamo che il conte è un nobile e che Figaro un servitore, ma non ci interessa (e non interessa a Mozart e a Da Ponte), il punto è un altro: chi vince e chi perde, chi tradisce e chi è tradito, chi minaccia e chi subisce, chi è ricco e chi è povero, tutti – tra gli uomini – sono mossi dalle stesse passioni e partecipano ad un gioco, interpretando ognuno un ruolo diverso, ma essendo uniti dallo stesso destino. Un destino leggero e grave allo stesso tempo, dipende dalla prospettiva (“L’onore? Dove diamin l’ha posto umano errore!”): e Mozart e Da Ponte ci invitano ad avere la prospettiva più lieve e leggera possibile. Non per superficialità, certo, ma per la consapevolezza che il solo modo di salvarci – come uomini – è quello di rimandare ad altri la soluzione delle questioni fondamentali.
Tutti sono vinti e tutti sono vincitori, nella “folle giornata”: Figaro e Susanna, amanti sinceri ma scaltri (con Susanna che sa di dovere “giocare” con il Conte); la Contessa, tormentata, ma sicura del suo grado; Don Bartolo e Marcellina, che sorridono del loro stesso passato; Don Basilio, idealista che deve sbarcare il lunario.
Ed il Conte, naturalmente, cui Mozart e Da Ponte affidano il sunto di tutto il capolavoro: “Contessa, perdono!” è l’implorazione di tutta l’umanità al Creatore, implorazione in cui l’eterno gioco dell’amore e dell’inganno si sublima nella pietà universale del Cielo verso gli uomini, cui solo la grande musica è in grado di dare una cornice adeguata.
Ne ho viste decine di rappresentazioni: tra la prima (Verona, 19…) e l ultima (Salisburgo, gennaio 2020) ci sono le grandi recite di Vienna dei primi anni 2000, con un Ozawa in stato di grazia, la fantastica regia di Ponnelle e Lucio Gallo protagonista superbo.