Durante la mia esperienza ad Hazorea, il Kibbutz dove passai qualche mese, nell’estate del 1997, ebbi l’occasione di entrare in contatto profondo con i beduini che vivevano nel territorio circostante.
Uno dei due capi cuoco che dirigevano la cucina dove lavoravo come volontario era beduino: esterno, quindi, al Kibbutz e stipendiato per svolgere un lavoro che non poteva essere svolto da nessun membro effettivo del villaggio. Costui, un giorno, mi chiese di aiutarlo nella sua attività secondaria di organizzatore di matrimoni tra la gente del suo villaggio. In pratica, dovevo dormire da lui un venerdì sera, svegliarmi all’alba del sabato e aiutarlo a preparare il pranzo di nozze di due sposi beduini, membri del suo paese.
Accettai entusiasta. Mi portò, con la macchina di cui andava estremamente fiero, fino al villaggio dove abitava: durante il viaggio mi raccontò di essere un privilegiato e di avere – grazie al doppio lavoro, nel kibbutz e nel mondo dei matrimoni – un tenore di vita molto alto. Arrivati a casa, incontrai la sua famiglia e chiesi di fare una foto: ricordo che la moglie non volle essere fotografata (“lei lavora, domandai?”; “no, no, certo che no!”).
Per la notte, mi lasciarono la loro stanza e dormirono – con i figli – nella stanza più piccola, stesi su tappetini, in terra. La mattina fui svegliato dal canto del Muezzin ed iniziai il lavoro.
Il menu era semplice: riso bollito con carne di montone e panna acida. Sotto uno squallido porticato, in piatti di plastica, prima mangiarono gli uomini; ritirammo velocemente i piatti che “lavammo” in tre bacinelle di acqua calda, tiepida e fredda: io ero addetto al risciacquo in acqua fredda. “Più veloce, non abbiamo tempo”, mi apostrofò il capocuoco, dopo avermi visto osservare con qualche perplessità la qualità della pulizia dei piatti che dovevo sciacquare e rimettere in servizio sul tavolo. Era, infatti, il turno delle donne: nei piatti appena lavati, mangiarono quello che era rimasto. Tra una portata ed una visita ai bagni (ricordo un vecchio avvolto letteralmente in una nuvola di fumo…), anch’io gustai il riso col montone (senza panna): non era male.
Alla fine, tutti si misero a ballare. Tutti gli uomini, beninteso, perché le donne se ne stettero tutto il tempo sedute a guardare lo spettacolo.
“Le donne non ballano?” – chiesi ad un ragazzo. “No, certo!”, mi rispose guardandomi come se gli avessi chiesto se aveva visto passare un elefante volante.