Ho finito di leggere, per la prima volta in modo integrale, le Storie di Erodoto: un viaggio meraviglioso nel mondo di 2500 anni fa, guidati dal primo degli storici.
Due aspetti, su tutti:
a) l’interesse di Erodoto per le culture diverse dalla sua. La descrizione minuziosa dei costumi dei Babilonesi o delle usanze degli Egizi arricchiscono il racconto e lo rendono un reportage affascinante ed istruttivo. E poi c’è l’autore, con il suo sguardo sempre presente, che avverte di raccontare questo o quello, ma di non crederci, o di avere un’altra versione. “In questo caso racconto solo quello che ho sentito dire, non lo ho visto personalmente” è un avvertimento frequente, in Erodoto.
b) la conferma di come – anche calandolo in un mondo antico così diverso dal nostro – l’uomo abbia sempre avuto bisogno, principalmente, di difendesi da sé stesso. Pensiamo – tra i tanti esempi possibili – al racconto di come, presso gli Egiziani, le donne belle e illustri non venissero portate agli imbalsamatori appena morte, ma solo dopo tre o quattro giorni: “agiscono così perché gli imbalsamatori non si uniscano carnalmente a queste donne; dicono infatti che uno fu sorpreso a unirsi al cadavere ancor fresco di una donna, e che lo denunciò un suo collega” (II, 89).
L’interesse per le altre culture e l’amore della conoscenza non deve essere scambiato con la melassa indistinta di sentimenti e di valori che caratterizzerà altri mondi: Erodoto ed il mondo greco avevano ben chiaro chi fossero i barbari e quale fosse la civiltà da difendere. Quando, negli ultimi tre libri, il racconto si concentra sulle guerre persiane, il senso di urgenza per la difesa del campo greco cresce (pur mantenendo, nella narrazione, un equilibrio ed un’attenzione all’avversario davvero sorprendenti). E l’assistenza degli Dei diventa fondamentale. Gli eroi, di cui il racconto è pieno, possono fare la loro parte solo se qualcuno, lassù, ha deciso in loro favore.
E l’oracolo di Delfi, interrogato dagli Ateniesi durante la discesa di Serse, aveva parlato per bocca della Pizia Aristonice, profetizzando sciagure terribili. Gli Ateniesi, smarriti, consigliati da Androbulo, tornarono ad interrogare l’oracolo da supplici, con rami d’ulivo. E la profetessa vaticinò per la seconda volta, lasciando intravvedere una speranza dietro ad un nome: “(…) quando tutte le altre città siano state prese (…) Zeus concede (..) che solo un muro di legno rimanga inviolato (…). O divina Salamina, tu farai perire figli di donne, o quando si semina o quando si raccoglie il frutto di Demetra” (VII,141).
Solo Temistocle riuscirà ad interpretare il senso della profezia e fu la salvezza della Grecia e della nostra civiltà.
Leggo sempre tutti i tuoi articoli e ti sprono a continuare a scrivere…sono letture indispensabili per “staccare la spina” dai tanti impegni quotidiani, sia di lavoro che di padre ed immergersi in “altri mondi”, quelli delle tue esperienze, delle tue letture, dei tuoi viaggi e del tuo sapere.