Italiani: una carta d’identità/2

Un’altra definizione, questa volta di Hegel, è un punto di partenza importante per interessanti riflessioni: “gli Italiani sono improvvisatori per natura, completamente immersi nei godimenti estetici; con tali disposizioni artistiche, lo Stato non può essere altro che un accidente”.

Quindi: Italiani improvvisatori per natura, immersi nei godimenti estetici, con lo Stato come “accidente”. Certamente, una buona capacità di improvvisazione rimane una delle migliori caratteristiche del nostro popolo. Su questo Hegel continua ad essere attuale.

Ancora più centrata l’osservazione sui godimenti estetici. Certo, qui va fatto un distinguo. Le disposizioni artistiche per cui erano famosi gli Italiani riguardavano evidentemente la ricerca del bello, della leggerezza della vita, del godimento sensuale. E’ questo quello che per secoli ha caratterizzato l’Italiano, rendendolo, da un lato, il popolo più amato, invidiato e corteggiato del pianeta; dall’altro, il popolo considerato meno adatto alle questioni “serie” (da qui le deduzioni hegeliane sullo Stato).

Oggi l’Italiano rimane un essere immerso e sommerso dai sensi, ma da sensi di segno opposto rispetto al bello.

Pensiamo alla capacità di ridere. La comicità (non l’umorismo, non l’ironia, che presuppongono la capacità di ridere di sé stessi) è sempre stata un punto di forza degli Italiani. Ma da ormai 20-25 anni in Italia nessuno ride più: siamo diventati un popolo triste, che prende le cose “sul serio”. Confondendo la serietà con la seriosità e l’ironia con la diffamazione, tutto diventa pesante e lamentoso, ognuno rivendica serietà e professionalità (quasi sempre senza essere né serio, né professionale), non leggerezza, sogno, disincanto. Così, dall’estetica degli Italiani se ne va il bello, sostituito dal bolso, da un mix di rancore, recriminazione, astio verso la vita e verso gli altri. Un’estetica del brutto, in qualche modo. Ma stiamo parlando sempre di sensi.

Pensiamo, ancora, al modo di presentarsi. Gli Italiani sono stati famosi, per decenni, per il modo di vestire, di presentarsi, di curarsi. Sensi, senza dubbio. Oggi consideriamo l’interessante caso – cronaca di questi giorni – di una telegiornalista che – presentandosi dimessa in video e presa in giro per questo – ha rivendicato il diritto di essere naturale, non finta. “Magari anche noi Italiani – hanno dichiarato insistentemente i suoi sostenitori – facessimo come gli stranieri, che non badano alla bellezza, all’esteriorità, ma alla sostanza di quello che un giornalista dice”. E qui cadiamo penosamente nella confusione tra bellezza e dignità, tra esteriorità e ordine, tra appariscenza e pulizia. Perché è vero che nessuna telegiornalista, in Paesi seri, si presenta vestendosi e agendo come tante di casa nostra (puntando all’effetto visivo), ma è altrettanto vero che nessuno, tranne che da noi, autorizzerebbe un giornalista ad andare in video in modo sciatto, trasandato, disonorevole. La differenza è tutta qui, ma in Italia non si percepisce: dal bello fine a sé stesso si passa direttamente al brutto, al trasandato, in entrambi i casi concentrandosi sull’effetto esteriore. Abbiamo fatto un giro di 180 gradi e forse a breve non saremo più famosi per come ci vestiamo bene, ma per come ci vestiamo male: ma stiamo parlando sempre di sensi.

E’ evidente, quindi, che per un popolo con simili predisposizioni artistiche (storicamente indirizzate al bello, oggi indirizzate al brutto), lo Stato sia sempre stato e rimanga un accidente, qualcosa che gli appartiene in modo casuale, senza far parte della sua essenza.

Gli Italiani diffidano dello Stato e lo Stato diffida degli Italiani, in una sorta di nascondino in cui ognuna delle due parti pensa di essere più furba dell’altra. Perché quello che conta non è la sostanza, la concretezza: l’importante è il senso estetico di quello che si fa, la ricerca dell’effetto esteriore.

Forma, idea, messaggi, un’ eterna ammuina che da sempre caratterizza questo popolo di esteti imbruttiti.

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