Forse

Dopo la prima lettura, nel 1993, avevo in programma la rilettura dei principali romanzi dannunziani. Nonostante ami il D’Annunzio poeta e non abbia troppa simpatia per il D’Annunzio prosatore, che sento troppo retorico, costruito, sempre alla ricerca dell’effetto, ritenevo importante rinfrescare, nella memoria, l’opera di una delle figure centrali del Novecento italiano.

Ho iniziato da Forse che sì forse che no, l’ultimo romanzo, il più riuscito, secondo l’autore stesso. Lo ho riletto nei giorni scorsi e confermo – sostanzialmente – quello che scrivevo nelle mie note di lettura del maggio 1993: “echi danteschi; migliore del Piacere e del Trionfo della morte; ottimo l’intreccio”.

Dalla lettura del Forse si esce malati di sensazioni: la prosa dannunziana è barocca, avvolgente, sinuosa, eccessiva. Alla fine, ho avuto un senso di rigetto per le stesse figure che l’autore, invece, vorrebbe esaltare: Paolo e Vanina mi sono sembrati scontati, non centrati. Paolo, poi, risulta quasi insopportabile.

Anche se posso intuire, forse, che l’esaltazione dell’aviazione nascente ed il disordine patologico nei sentimenti dei personaggi siano elementi innovativi ed altamente moderni, oggi mi sento più crociano che mai: “dilettante di sensazioni”, disse Croce del D’Annunzio prosatore. Moderno, forse, ma per questo tanto lontano da quello di cui oggi sento il bisogno.

Non proseguirò – forse – nella rilettura degli altri romanzi.

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