Italiani: una carta d’identità/1

“Gli Italiani – diceva Ojetti, ripreso da Montanelli – sono un popolo di contemporanei: senza antenati e senza posteri, perché senza memoria”. Quanto più tempo passo all’estero, quanto più paragono gli Italiani agli altri popoli con cui mi confronto, tanto più trovo calzante questa definizione.

L’Italiano non ha antenati, perché dimentica facilmente da dove viene, proiettandosi sempre in avanti, in una ricerca inesausta di novità. L’Italiano non ama le tradizioni, crede di poterne fare a meno; non ama ripetere quello che si è sempre fatto e non ne sente il valore. Anzi: crede sia un valore scimmiottare quello che, di nuovo, fanno gli altri. Sempre. A qualsiasi livello.

Mi ricorderò sempre i miei primi soggiorni in Francia. Alla domanda “come ti chiami” e al mio rispondere – pronunciando il mio nome con accento corretto – i Francesi riprendevano immediatamente il nome, con accento cambiato: Albèrto, oui Albertò; Antònio, oui Antoniò; Alessàndro, oui Alessandrò….E potevo ripetere cento volte la pronuncia corretta, senza successo: l’accento rimaneva lì. Che orgoglio per la propria lingua! E che differenza con l’Italia, dove è normale forzare pronunce, imitare suoni, rendersi ridicoli pur di rincorrere una pronuncia straniera.

Come mi fa sempre sorridere l’ampissima eco che – sui giornali e media italiani – hanno le notizie sull’Italia riportate nei giornali e media stranieri. Pesco a caso, dal sito di Repubblica di oggi: “Per la BBC Salvini diffonde fake news come Trump”; “Luca Zaia secondo il Financial Times: “astro nascente della Lega che offusca Salvini” ; l’atteggiamento è comune e persistente. In nessuna parte del mondo si dà tale enfasi alle notizie sul proprio Paese riportate da media di altri Paesi. Ma il sottinteso – da noi – è chiaro: se lo dicono loro, il concetto è vero, comunque rinforzato. La voce straniera dà lustro, è vista come un rafforzativo nobile. Solo in Italia.

Il fatto di non avere antenati ha due corollari immediati, due esclusive italiane, che nessun altro popolo al mondo possiede.

Il primo recita così: quello che si fa fuori dall’Italia è sempre migliore di quello che si fa da noi. Pensiamo ai treni. Io li uso tantissimo e posso dire di avere una buona esperienza europea di viaggi su rotaia. Il livello medio dei treni italiani è molto alto. Se si vuole andare da una città all’altra, mediamente, in Italia si dispone di un servizio eccellente a prezzi accettabilissimi. In Germania, le ferrovie sono paragonabili a quelle del terzo mondo: sempre in ritardo, con caldo in estate e freddo in inverno, sporcizia e prezzi astronomici (e nessuna alta velocita). Ma non c’è niente da fare: ogni volta che parlo di treni tedeschi con Italiani (che non li hanno mai presi), tutti lodano le ferrovie tedesche a priori, sicuramente le migliori al mondo, migliori delle nostre, sempre considerate pessime.

Il secondo corollario del fatto di non avere antenati recita: parla sempre e comunque male dell’Italia, tu sei altro rispetto a quello che critichi. Ricorderò sempre il libro degli ospiti della casetta di Babbo Natale a Rovanjemi, in Finlandia: visitatori da tutto il mondo lasciano messaggi generalmente di stupore, ammirazione, gioia. Nella mia visita del 2004 rimasi allibito nel leggere un commento di un visitatore italiano: non apprezzava niente, insultava l’allora Presidente del Consiglio del suo Paese! Ecco, solo un Italiano può arrivare al circolo polare artico e prendersi la briga di lasciare un messaggio (peraltro fuori contesto e non capito dal 99% dei lettori. perché scritto in italiano) CONTRO il suo Paese.

Niente antenati, quindi. Ma l’Italiano non ha nemmeno posteri. Perché avere posteri significa essere orgogliosi di quello che si rappresenta, di quello che si è, nell’ottica di trasmetterlo a qualcuno. All’Italiano, invece, non interessa conservare quello che ha ricevuto dal passato, vuole immergersi nel presente o nel futuro.

Pensiamo all’opera lirica, un’invenzione italiana. Solo un popolo senza memoria e senza posteri può procedere, come fanno gli Italiani, alla progressiva distruzione di un’eredità culturale unica (che tutti ci invidiano) e che potrebbe portare, oltre che lustro e dignità, anche denari e prosperità. Ma tant’è: da un lato, via i fondi ai teatri, via le risorse; dall’altro, la vergogna di mettere in scena l’opera italiana (“dobbiamo fare Traviata per il grande pubblico”) e la necessità di darsi un lustro culturale con opere tedesche, ceche, russe (chiaramente nessuno auspica che non vengano fatte, qui si parla del perché si fanno).

Pensiamo, ancora, al mondo del cibo, dove dovremmo essere maestri: ricorderò sempre gli occhi stralunati con cui mi guardavano i miei amici catalani, a Barcellona, quando lodavo il prosciutto italiano paragonandolo al jamon iberico, che non mi ha mai detto niente. Non c’era verso: loro consideravano imparagonabili i due prodotti ed anche i più accaniti indipendentisti avrebbero commesso un delitto pur di affermare la supremazia del prodotto spagnolo. Mai, in Catalogna, sono riuscito a trovare un grammo di San Daniele o di Parma. Che stranezza, per noi Italiani che, invece, non vediamo l’ora di gustare un pata negra e di darci un tono lodando il prodotto non italiano! Anche qui non si tratta di auspicare autarchie fuori tempo, si vuole però notare come un popolo con memoria e con posteri non confonda orgoglio nazionale e provincialismo, tradizione e oscurantismo. Gli Italiani lo fanno.

Italiani, un popolo di Santi, poeti, navigatori e….smemorati.

1 commento su “Italiani: una carta d’identità/1”

  1. stupendo questo articolo, che condivido in pieno e che constato nel mio quotidiano vivere e lavorare in Italia.
    non avendo, per il momento, prospettive di cambiamenti, ammetto che non è sempre facile convivere con italiani cos’ sprovveduti, smemorati e lontani dalle nostre gloriose origini

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