Italiani brava gente?

Caserta, Roma, Verona, Firenze. Un filo rosso accomuna queste quattro città e – idealmente – tutta Italia. Qui, infatti, si sono esibiti nei mesi scorsi o si esibiranno nell’immediato futuro tre tra gli artisti più importanti degli ultimi cinquant’anni: Gustav Kuhn, James Levine e Placido Domingo. Notiziuccia per melomani, si dirà.

Sarebbe così, se i due direttori d’orchestra e il super tenore non fossero stati accusati, nei mesi scorsi, di abusi sessuali e rimossi immediatamente da tutte le cariche che ricoprivano in diversi Paesi dell’Occidente progressista e femminista: nessun ruolo, nessun contratto, nessun concerto. Damnatio memoriae in America, Spagna, Austria (che però – tu felix Austria – condanna Kuhn a Erl e fa cantare Domingo a Vienna), Francia. Solo in Italia apriamo loro le porte, senza scandalizzarci né urlare, anzi salutandoli con sold out e applausi scroscianti.

Perché?

E’ una domanda che da qualche mese mi perseguita e a cui non so dare una risposta precisa. In prima battuta, verrebbe da pensare agli Italiani di una volta, non schiavizzati dal politically correct, che in qualche modo se ne fregano delle imposizioni moralistico/persecutorie oggi in voga verso contro chi non ne rispetta le regole: ma sembra troppo bello per essere vero; ancora, si potrebbe pensare alla qualità degli artisti in oggetto, la cui eccellenza potrebbe fare superare qualsiasi condanna morale in un popolo particolarmente sensibile all’arte: ma anche questa non mi sembra la strada giusta.

E allora?

Alla fine, credo che la lettura che si avvicina di più alla realtà sia quella che vede nell’ambiente culturale italiano un soggetto talmente moribondo che nessuno, tra i maitre a penser che fanno e disfano i “casi” italiani, ha notato questa cosa; in altre parole, nessuno si cura, in Italia, di quello che si fa o non si fa nei teatri, nessuno sa addirittura che cosa siano i teatri. Di conseguenza, ogni polemica o pelemicuccia riguardante i teatri non avrebbe audiance, quindi non vale la pena nemmeno iniziarla.

In Italia, semplicemente ci occupiamo di altro.

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