Erano le 6 e mezza del mattino e la sveglia, impietosa, suonò come tutti i giorni. Un uomo ancora giovane scese dal letto e, meccanicamente, si infilò un paio di pantofole, andò in cucina e si preparò il caffè. L’alba era radiosa, la natura – seppure in città della natura si avessero solo lontane percezioni – sprigionava la sua voglia di vita, ma lui non se ne accorgeva; la sua missione era una sola: raggiungere la meta di ogni mattino, il fulcro della sua vita, l’ufficio, nei tempi richiesti dalla sua posizione e dalla sua azienda.
Perché lui, l’ingegner Tino Lattuci, era tutto tranne che un lavativo: aveva 38 anni, era Regional Manager Director di una grossa azienda Multinazionale e sapeva bene come la puntualità, l’orario di lavoro, la precisione fossero una parte fondante del successo di un bravo manager. E poi, l’azienda gli aveva dato fiducia promuovendolo al ruolo agognato e da tempo atteso: non si poteva tergiversare. In piedi e via, verso l’ufficio. C’era solo il tempo di dare un bacio alla moglie, anch’essa indaffarata per non fare tardi alla scuola dove insegnava da qualche anno con discreta soddisfazione. “Ci vediamo questa sera, amore mio”, sussurrò Tino all’orecchio della consorte mentre, con il suo completo gessato con cravatta blu – lui, che della prestanza fisica aveva fatto sempre un suo punto di forza – uscì dalla loro villetta a schiera. L’auto aziendale era parcheggiata davanti a casa. “Sarebbe tempo di lavarla”, pensò Tino mentre saliva in macchina e – assieme al motore – accese la prima delle sue quotidiane venti sigarette.
Il tragitto che doveva compiere non era lungo, ma tale da procurare a chiunque un malessere generico e costante: traffico, smog, rumore avrebbero reso nervoso il più docile degli esseri umani. Ma non Tino, che era conscio del fatto che il sacrificio è alla base di ogni successo e sempre memore del fatto che nella vita si debba soffrire.
Erano le otto e lui, puntuale, varcò la soglia del suo regno. Davanti a lui c’era tutta la giornata.