Il pomeriggio di Tino Lattuci prevedeva, alle 17, un veloce incontro con il Direttore Operativo dell’azienda – suo superiore diretto – , di passaggio in città.
Il dottor Pietro Romani aveva superato da poco i cinquant’anni; aveva alle spalle una lunga carriera in diverse aziende e da un paio d’anni ricopriva l’importante incarico dirigenziale in cui lo stiamo seguendo. Era un manager all’antica, con l’obbiettivo primario di non avere grane e di non dovere troppo giustificarsi con l’Amministratore della società, cui riportava. Lattuci, come collaboratore, gli assicurava una gestione tranquilla e rispettosa delle precedenze e dei ruoli. Non creava fastidi e non sembrava avere soverchie ambizioni. Era per tanti versi – insomma – il collaboratore perfetto. “Ciao, Tino, come va?”, disse Romani varcando – alle 17 precise – le soglie dell’ufficio di Lattuci. “Ciao, Pietro, tutto bene, che piacere vederti! Sei come sempre molto puntuale!” – disse Lattuci con voce impostata ed aria artificiosamente allegra. Era il suo modo di presentarsi al Capo. Non che temesse il ruolo, era il suo carattere che lo portava ad amplificare ed esplicitare così il suo profondo senso di sottomissione.
“Sono di passaggio, lo sai, e non ho molto tempo – disse Romani – ma l’altro giorno mi hai detto che volevi parlarmi di qualcosa di personale. Di cosa si tratta, Tino?”. Lattuci da tempo covava il desiderio di chiedere al suo capo un aumento di stipendio. In effetti, per il ruolo che ricopriva la retribuzione era ancora al di sotto della media nazionale. “A conti fatti – pensava spesso – ho questo posto da due anni, ho ereditato dal mio predecessore una situazione disastrosa, ho rimesso a posto le cose e non ho mai chiesto niente…devono darmelo…e subito, altrimenti…!”. Così, qualche giorno prima aveva timidamente approfittato di una telefonata di lavoro con il suo capo per anticipargli l’urgente necessità. Ma parlare apertamente, con le persone davanti, era tutt’altra cosa. “ Sai, Pietro, ti volevo chiedere, ma non è importante…se hai fretta…facciamo un’altra volta… intanto, vuoi un caffè?”. Romani credeva di conoscere il suo collaboratore ed aveva imparato ad apprezzarlo per il suo apparente candore: “Sì, grazie, andiamo al bar qui sotto, ma dimmi pure…”.
Scendendo le scale, Lattuci prese coraggio: “Sai, Pietro, la mia retribuzione…è ferma da due anni… ho un mutuo da pagare…la nonna in casa di riposo…una moglie bella ed esigente…sai come sono queste cose….eh! eh! eh! se si potesse, magari non subito, pensare ad un aumento…ma se non è possibile…lo stesso eh!? ci mancherebbe”. “Guarda, a fine anno ne parliamo sicuramente, – disse Romani – penso che da parte della direzione non ci saranno problemi, bisogna vedere come sei messo rispetto ai tuoi pari-grado…ma come va con Emanuela?”. Lattuci non rimase per niente soddisfatto dalla risposta di Romani, ma non ritenne di insistere oltre: “mai insistere troppo, il messaggio l’ho dato”, pensò fulmineamente prima di rispondere alla domanda del Capo, che – tra i collaboratori di Lattuci – conosceva solo Emanuela, con cui anni prima aveva lavorato in un’altra azienda. “Emanuela è sempre la stessa, la conosci: brava, efficiente, simpatica, ultimante è migliorata anche nel rapporto con i clienti, che non era la cosa in cui andasse meglio. Rispetto agli altri è sicuramente più partecipativa. Anche le cose qui…sai… vanno bene: stamattina ho fatto una riunione tosta e parlato dei nuovi budget…il gruppo c’è, la motivazione è alta”.
Romani era visibilmente soddisfatto: “Bene, bravo. E’ importante avere sempre in pugno la situazione. Ma si è fatto tardi, ti devo salutare…Tino. Ci sentiamo domani: ti devo chiedere un paio di spiegazioni sulla tua ultima mail…ciao”. Detto questo, Romani uscì dal bar e salì sulla sua auto, accese il motore e partì. Uscendo dal parcheggio abbassò il finestrino e gridò a Lattuci che lo guardava sull’attenti: “salutami Emanuela, mi raccomando, e falle i complimenti da parte mia!”. “Stai tranquillo, Pietro, e guida con prudenza!”, rispose Lattuci con voce impostata ed aria artificiosamente allegra. 15