16. Intermezzo artigiano

Lo Zio Mario aveva un laboratorio artigiano in un paese di campagna. Lo zio lavorava il ferro insieme a due garzoni ed un apprendista. Era molto bravo e riconosciuto come il migliore artigiano della provincia. Nella sua bottega – senza progettisti né contabili – riusciva ad avere un’organizzazione perfetta, conti in ordine, prodotti eccellenti e clienti estasiati.

Il piccolo Tino e la famiglia andavano spesso a trovarlo, soprattutto la domenica, per passare insieme qualche ora di spensierata allegria. Il bambino era incuriosito dall’attività dello zio e passava ore ed ore ad osservarlo lavorare. Vedeva che tutto – nel laboratorio – girava alla perfezione; sentiva i clienti chiamare ed ordinare e lo zio rispondere – mite e modesto – che tutto sarebbe stato fatto, a regola d’arte, entro due settimane. Anche quando le finanze e la tecnologia glie lo avrebbero permesso, lo zio non volle mai assumere contabili o adottare computer, calcolatori e programmi informatici: egli continuò per tutta la vita a fare i conti con le dita di una mano (“incasso 100 – spendo 90, va bene; incasso 90 – spendo 100 non va bene”, diceva spesso, ed era il suo vademecum contabile), a produrre quanto il suo fiuto gli diceva sarebbe stato necessario (ed i suoi clienti gli confermavano), a trattare direttamente ed affabilmente con tutti. Gino, Peppe e Luca – i tre ragazzi che lavoravano con lui – lo veneravano come maestro di arte e di vita.

Tra i sedici ed i diciotto anni Tino passò le estati in campagna dagli zii. Aveva già deciso di iscriversi ad ingegneria e di lavorare nell’azienda paterna. Perciò pensò bene di rinfrescare i suoi ricordi di bambino e rivedere da vicino come funzionava quel miracolo di perfezione ed efficienza. L’esperienza lo deluse profondamente. “Ma come – si scandalizzava – , in un’epoca di vita computerizzata questi continuano con carta e penna? Non sono destinati ad andare lontano, i concorrenti li butteranno fuori dal mercato…è matematico”. “Hai mai fatto l’analisi dei tuoi costi, zio? – chiedeva al parente – come fai a produrre se non analizzi nel dettaglio quanto spendi? E poi, caro zio, i collaboratori tu li tratti come parenti…va bene usare una tecnica di leadership partecipativa, ma tu esageri, sembrano loro i padroni…ci vuole più polso!”. Lo zio ascoltava il nipote “sapiente” e sorrideva. “Io da adulto – proseguiva il ragazzo – farò il manager, il leader d’azienda, ma il nostro mondo non è il tuo, zio, sei rimasto indietro, oggi si gestisce in altro modo. Le persone vanno motivate con forza, conosci la scala di Maslow? – non so quanto andrai avanti con questi metodi, se ce la farai…beh se avrai bisogno di un aiuto verrò io, quando sarò laureato a pieni voti”. Ma le cose erano andate diversamente e lo zio continuava – sornione – ad essere considerato il migliore artigiano della provincia.

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