Il telefono squillava in continuazione. Claudia e Donatella erano uscite per la prima delle due mattutine pause caffè e Vincenza sbuffava, faticando a stare dietro al ritmo del lavoro: offerta da chiudere, lettera da mettere in bella e telefono, telefono, telefono. “La verità – pensò – è che in questo ufficio ci sono io che produco (e mi fermo qui fino alle otto tutte le sere, sabato e festivi, spesso, inclusi) mentre le mie colleghe…beh, lasciamo stare”. Vincenza era considerata dal suo capo l’asse portante dell’ufficio: da anni il lavoro che doveva svolgere le sembrava richiedere ore ed ore più di quelle previste e i giorni non erano mai sufficienti. Per questo, e per altri motivi personali, Vincenza spesso perdeva le staffe e non riusciva a controllare il suo malessere e disagio nei confronti del lavoro. E lo faceva, spesso e volentieri, proprio con Lattuci. Come quella volta, quando gli aveva detto chiaro e tondo (anzi, urlato senza remore) che così non si poteva andare avanti, che bisognava intervenire, assumere e licenziare, ristrutturare e chiudere. E Tino, come suo solito, aveva subìto passivamente, dando genericamente ragione alla ragazza, ma non facendo seguire alle parole nessuna azione concreta.
I canonici 10 minuti di pausa di Claudia e Donatella erano – come sempre – diventati 15-20 e le due ragazze stavano rientrando in ufficio. Appena Vincenza le vide rientrare, livida in volto, ma in possesso della calma e della freddezza che derivava dall’abitudine, si alzò ed uscì, a sua volta diretta verso la sua (questa sì meritata) pausa caffè. Lattuci finse di non vedere la scena né di accorgersi del suo rientro, 25 minuti dopo, e continuò a chiacchierare con Emanuela, che nel frattempo gli si era avvicinata per mostrargli dei fogli. “…di tutto ciò non fare cenno a Beatrice; questo affare è meglio tenerlo tra noi. Domani ne riparliamo”. Da mesi egli intuiva che la situazione dell’ufficio era insostenibile e portava ad inefficienze e tensioni, ma come intervenire? “Parlare chiaro” – pensava – “non è mai conveniente. Aspettiamo e le cose si sistemeranno da sole”.
Inconsapevolmente, così, da parecchio tempo lasciava correre non senza però, di tanto in tanto, procedere con velati complimenti a Claudia e Donatella, rarefacendo sempre di più il rapporto con Vincenza. Scivolava così, inconsapevolmente, nel modello di gestione delle persone che gli era più familiare: lodare chi si ritiene incapace o in difficoltà, ignorare chi si ritiene bravo e meritevole.