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Ricordo ancora quel pomeriggio di una decina d’anni fa: ero arrivato da poco in Germania e guardavo la televisione per capire un po’ meglio il Paese dove avrei dovuto vivere. In onda c’era un talk show dove si discuteva di traffico e problemi connessi: niente di particolare, anche in Italia trasmissioni di quel tipo erano frequenti.

Nella lista degli ospiti che intervenivano, esprimendo la loro opinione sul tema, ci fu qualcosa che mi fece saltare sulla sedia. Ad un certo punto, tra un impiegato, una professoressa e un postino, ci fu l’intervento di una signora, che si qualificò come prostituta. E la televisione sottotitolò, per ogni suo intervento, nome, cognome e professione.

Certo, sapevo che la prostituzione, in Germania, era legale e che esistevano i bordelli; ma vedere, in televisione, una persona che – parlando di un argomento qualsiasi – aveva scritto sotto il suo nome la professione “prostituta”, mi fece molta impressione.

In Italia non avrei potuto assistere ad uno spettacolo simile e iniziai a chiedermi quale dei due fosse il Paese più morale e quale quello più moralista. Domanda che mi faccio ancora oggi e cui non so dare una risposta certa: la differenza, in fondo, è come sempre più di forma che di sostanza.

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