Campane

Ero arrivato in Inghilterra, nel Surrey, per un lungo soggiorno di studio e vivevo presso un vero british gentleman, David L. Lui e la sua famiglia mi avrebbero ospitato per un mese circa nella campagna inglese, tra marmelades fatte in casa, partite di cricket e serate nel pub del villaggio.

La prima sera David, un ex professore di inglese, sulla settantina, mi invitò con lui ad una delle sue attività serali preferite: suonare le campane. Subito mi meravigliai e, stupidamente, chiesi quale fosse la differenza tra suonare le campane a mano o farle suonare con meccanismi automatici. David mi guardò con un sorriso di sufficienza.

Arrivammo nella chiesa dove incontrammo il gruppo di campanari e lì capii: si trattava di un rito, di una sorta di unione di spiriti intenta alla realizzazione di qualcosa di sacro. L’entusiasmo, la passione e la perizia tecnica ricercata scrupolosamente mi colpirono profondamente e ancora una volta benedissi l’Inghilterra, le sue manie, le sue grandezze, il suo amore per la tradizione e la sua forza nell’essere unica.

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