Da Havel a Husak?

Trent’anni fa si compì, nell’allora Cecoslovacchia, la Rivoluzione di velluto. Ricordo bene il fermento di quei giorni. Io, diciottenne di forte credo liberale, seguivo con entusiasmo ed inebriamento le vicende di quel Paese dell’Est: avevo letto avidamente Havel (Il potere dei senza potere, Interrogatorio a distanza, Open letters), ero stato a Praga nel 1987 ed avevo conosciuto una città magica, emozionante, misteriosa.

In particolare, ricordo lo scoppio di entusiasmo che mi coinvolse, il 10 dicembre 1989, alla notizia delle dimissioni di Gustav Husak, l’ultimo dittatore, e della nomina di Havel alla Presidenza. Era una specie di sogno che si avverava: il ribelle liberale, colto, gentile che diventa Presidente al posto dell’ultimo tiranno comunista. Dalle carceri alla Presidenza: quello che stava succedendo al Castello di Praga era la rappresentazione plastica dei sogni di una generazione liberale imbevuta di Popper, Croce, Stuart Mill, Einaudi…

Cos’è rimasto, dopo trent’anni, di quell’entusiasmo, di quelle speranza, di quei sogni? Direi molto poco, almeno in uno spirito liberale sì, ma con forti tinte conservatrici come il mio. Le illusioni sul fatto che la libertà conquistata trovasse da sè un argine si dileguarono ben presto; l'”anarchia degli spiriti”, che secondo Einaudi deve accompagnare la “sovranità delle leggi” nella celebre definizione di liberalismo, si rivelò dopo poco un’anarchia tout court.

Tornai a Praga, qualche anno dopo, e ricordo lo choc nel vedere ovunque – nei luoghi dove pochi mesi prima vedevo magia, mistero, languore – Mc Donalds, cambio monete, bottegucce di tutti i tipi e il triste assembramento di gente triste, intenta a comprare cose inutili, che velocemente ha poi colonizzato tutte le città dell’Occidente industrializzato.

Dal mistero all’hamburger. E’ questa la fine inevitabile del liberalismo? Il potere dei senza potere deve necessariamente trasformarsi in potere dei senza arte né parte? O esiste un argine che eviti che il grande dittatore si trasformi in grande fratello (TV, non Orwell) senza soluzione di continuità? E se l’argine esiste, come lo si può fissare, senza ricadere nelle maglie dell’imposizione e senza rinunciare quindi alla libertà stessa?

Il problema, in un’ottica generale, ben al di là del caso cecoslovacco, è quello di capire se può esistere una libertà che si autogoverna, che si autolimita in un’ottica virtuosa, o se non può esistere liberalismo senza degrado morale, sociale, culturale. Degrado che, unito alla globalizzazione ed alla digitalizzazione del mondo, porta inevitabilmente al governo dei peggiori.

Ma trent’anni fa non mi ponevo questi interrogativi. Tra l’altro, in quel tempo conobbi una ragazza di Lipsia che, dopo avere vissuto i primi vent’anni della sua vita nella DDR da poco estinta, stava provando le gioie del sistema occidentale. Le chiesi – credendo di conoscere la risposta – quale dei due modelli di vita preferisse. “Prima – mi disse sconvolgendomi – c’era più sicurezza…si stava meglio”. Allora non capii e la credetti un tipo originale, che non aveva capito.

Forse, chi non aveva capito ero invece proprio io.

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