Un anno difficile, dal punto di vista musicale, ha bisogno di un’estate “forte”. Tredici serate a Verona, mi hanno, in parte, riconciliato con il mondo del teatro.
Diciamo subito che, grazie al lavoro di Cecilia Gasdia, saggia e competente Sovrintendente, l’Arena è tornata ad essere uno dei teatri più importanti al mondo. Si levi a lei un grazie!
Dunque, nell’ordine.
AIDA: viste tre recite, Muti, Matheuz e Oren, nell’ordine buono, pessimo ed eccellente. Quando Oren dirige qui, la musica cambia immediatamente, pur riprendendo egli una produzione firmata (?) Matheuz, disorientato e disorientante debuttante areniano, che speriamo ritorni presto in Venezuela. In Arena non si fanno (dal punto di vista musicale) sconti e Muti stesso non riesce ad essere convincente: subisce, più che dirigere, un ambiente difficile e solisti mediocri.
Con Matheuz ascolto una debuttante Hundeling, tanto lodata in Wagner, ma estranea totalmente al canto italiano: fraseggio astruso, passaggio faticoso, dizione incerta: da dimenticare. Aronica, non in serata, sentito da poco a Firenze in La forza del destino, non è presente e non può essere Radames; discreto Piazzola.
Con Muti, cast stravolto da defezioni costanti e livello mediocrissimo.
Con Oren tutto cambia e anche chi non canta benissimo sembra bravo: Siri bravissima, ma con voce insufficiente; De Leon solo un ricordo del possente cantante sentito a Parigi in Chenier nel 2010: problemi a fare uscire la voce e ad articolare; Maestri belluino quanto basta, con problemi in acuto ma con presenza ancora vincente.
TURANDOT: viste due recite con il duo Netrebko-Eyvazov. Voci importanti, lei preparatissima ma, in questo ruolo, meno impressionanete che in altri (Trovatore su tutti); lui bravissimo, preparato, espressivo e vincente, nonostante un timbro bruttissimo che, qui, non lo penalizza più di tanto. Problemi (e succede spesso, in questa stagione) nei ruoli di fianco: Ruth Iniesta è una Liù poco suadente e poco presente, le tre maschere sono da dimenticare. Bignamini, sul podio, si difende anche se in Arena non si scherza e il coro sugli spalti (causa pandemia) non lo aiuta.
CAVALLERIA/PAGLIACCI: viste tre recite. Armiliato dirige diligentemente. Alagna conquista ancora (soprattutto la prima sera: il caldo eccessivo della seconda serata lo penalizza compromettendo un paio di acuti), la Kurzak fa quello che può; eccellente la Siri: brava, convincente, espressiva; maluccio Maestri (gli acuti…), malissimo la Sepe (che sostituisce all’ultimo la Rebeka).
NABUCCO: è l’opera clou della stagione, penalizzata da una regia scellerata. Vista quattro volte. Oren dà ogni sera una lezione di cosa significhi dirigere (un’orchestra, un coro, uno spettacolo!); Enkbath è un fenomeno raro: voce forte, potente, estesa; timbro suadente, fraseggio scolpito a dovere; dizione perfetta. Ascoltato a Parma e Parigi, conferma di essere un fuoriclasse, degno erede dei grandi. Giù il cappello! Salsi ne è la pallida controfigura, nell’unica recita assegnatagli.
Anna Pirozzi è bravissima, Siwek discreto (ma ottimo come Ramfis, in Aida), ottimi Bosi e Stroppa (interessante mezzo, sentita a Firenze come Preziosilla).
KAUFMANN: la serata dedicata a Jonas Kaufmann è stata deludente da tutti i punti di vista. Il programma, misero e tirato via; il direttore, dilettantesco ed estraneo completamente al repertorio italiano, all’opera e all’Arena: il tenore, sempre più affossato in suoni ingolati, falsetti stonati, fraseggio da orco. Unica nota parzialmente positiva, Martina Serafin, discreto soprano, che si difende abilmente (prendendo, spesso, più applausi del protagonista).
Davvero una super scorpacciata di musica.!!!
Hai ricaricato le batterie in vista dello sprint di fine anno
Ci vediamo alla tua festa
A presto
Andrea