Bel-Ami

Quanti Georges Duroy ci sono in me? E quanti in ognuno di noi? Mi sono fatto queste domande ad ogni pagina rileggendo, dopo oltre vent’anni, il capolavoro di Maupassant.

La prima volta, il romanzo mi era piaciuto per il ritmo serrato della scrittura, la trama avvolgente, il senso continuo di sorpresa. Oggi, pur confermado quelle impressioni, ne ho colto due diversi aspetti, che mi sembrano preponderanti.

Innanzitutto, il senso della morte che, in un modo o nell’altro, è presente in tutto il libro. In qualche modo, la bulimia di vita di Duroy, la scalata sociale che egli persegue freddamente, ha come sottofondo il discorso iniziale del vecchio Norbert de Varenne: “La vita è una salita. Mentre vai in su, guardi in alto, alla cima e ti senti felice; ma quando l’hai raggiunta, quella cima, scopri di colpo la discesa, e la fine, che è la morte. Si va adagio a salire ma si fa molto presto, a scendere. Alla sua età si è felici, pieni di gioia e di speranze che, del resto, non si realizzeranno mai. Alla mia invece, non ci si aspetta più nulla…solo la morte”.

Questo la iniziale, in qualche modo, fa da sfondo alle cronache – inevitabilmente aride e ripetitive – delle conquiste femminili di Duroy e dà loro un senso di profondita´ e tragicità che altrimenti sfuggerebbe.

Poi, il machiavellismo del protagonista. Raramente ho sentito così presente, come nelle pagine di Maupassant, il grande NIccolo´: la vita di Duroy prescinde dalla morale, la religione è usata come un paravento, la donna (la signora de Marelle, l’amante sempre presente) è battuta.

Duroy come un principe privato, insomma, che ha come obbiettivo la sopravvivienza e usa i mezzi che gli servono (che non sono giustificati in alcun modo, non sono – semplicemente – giudicati) per scalare le vette di una societa´ marcia, pronta e disposta ad essere scalata. Fino a che punto può essere un esempio?

Un gran libro, insomma, “indecente” secondo Tolstoj, ma denso di significati, ricco di spunti e scritto benissimo, da leggere, rileggere e meditare.

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